lunedì 26 gennaio 2009

Commento di Persefone

COMMENTO
Il luogo descritto nella composizione, corrisponde ad uno dei tanti belvedere, patrimonio naturale della città di Vibo Valentia.
Esso è meta delle passeggiate dei vibonesi che vi si recano non per abitudine ma per ammirare la grandiosità dell’Onnipotente, dispensatore di angoli di Paradiso alle popolazioni locali, affinchè esse meditino e apprezzino il valore pulsante della vita, l’azzurro del cielo, l’intenso panorama marino, il verde Appennino, le meravigliose isole Eolie, la carezza morbida del vento annunciatore della buona stagione, lo splendore immenso del sole e delle altre stelle.
Tal panorama, inebriatore dell’animo umano, induce a infinita gioia e perpetua lode all’ artefice di tutto ciò.
Sul belvedere del parco delle rimembraze, così è chiamato il luogo, insistono ancora i ruderi di un tempio che fu dedicato a Persefone.
La straordinaria bellezza di questo posto, dominante sulla costa tirrenica, sta ad indicare la grande importanza che le genti del tempo diedero al culto di Persefone.
Dal punto di vista storico, nella seconda metà del sec. VII, a.C., inizia in Italia l’espansione coloniale Greca.
L’Italia meridionale è interessata da questo fenomeno a cominciare della costa Jonica fino al golfo di Taranto, poi sul litorale Tirrenico fino a Cuma in Campania.
Gli Achei del Pelopponeso fondarono: Sibari, Mataponto, Crotone, Siris, Caulonia. A sud di Caulonia i Locresi fondarono Locri Epizefiri; Gli Spartani fondarono Taranto; I Calcidesi fondarono Rhegion.
Più tardi sorgono le colonie sul Tirreno: Sibari fonda Laos, Schidros e Poseidonia; Crotone fonda Terina e Temesa e Locri fonda Hipponion, Medma e Metauro; Crotone sulla costa Jonica fonda Macalla Crimisa e Petilia, e poi Skyllation.
Così nella nostra Regione s’innesta, come scritto da Francesco Albanese, la grazia e la gentilezza Greca ricca di arte e cultura.
In questo eccezionale contesto naturale, storico e spirituale si lega il mito, cantato con la leggenda di Persefone o Kore che, sorpresa dal dio Plutone mentre giocava con alcune ninfe sulle rive del lago di Pergusa, la rapì portandola con se nel suo regno per sposarla.
Da quel momento Persefone diventò la Dea del mondo sotterraneo.
Un’altra versione, poco accreditata della leggenda, e quindi da scartare, racconta che Ermippo sovrano d’Ipponio e Calais sua moglie, che gli successe nel governo della città, furono divinizzati dai devoti cittadini i quali ad Ermippo diedero il nome di Giove Ipponiato e a Calais quello di Demetra o Cerere, fu divinizzata anche la figlia Persefone che sorpresa mentre coglieva fiori sul nostro lido, fu rapita dal siculo pirata Plutone.
Gli Ipponiati per confortare la madre che la piangeva ormai perduta, le fecero credere che la fanciulla fosse stata rapita dal Dio Plutone e convertita in divinità.

Piazza d’Armi, si affaccia sulla costa tirrenica della Calabria centrale, nel mare del golfo di Lamezia Terme.

Qui, oltre alla Paradisiaca vista, si apprezza il piacere della carezza, simile al delicato tocco di un’ amante, del vento di ponente dolcificatore dell’aria, portatore della primavera.

Lo sguardo rivolto verso Ovest, mette a fuoco l’arcipelago delle isole Eolie ancor più evidenziate nell’ora in cui sole e mare s’incontrano in un sposalizio di colori caldi, avvolti da un purpureo mantello, a testimonianza dell’innata e reciproca gelosia di cielo, mare, terra e sole.

Nella spettacolarità di questo scenario, la mitologia Greca, come se volesse mettere un sigillo reale, ha collocato figure importanti del Pantheon.

Nascosto nelle viscere di Vulcano, l’omonimo Dio o Efesto: il fabbro; a Eolia: il custode dei venti, Eolo; Nelle grotte della costa Jonica Sicula, i figli di Poseidone: i Ciclopi.

Da questa veranda è possibile ammirare le imbarcazioni, che sembrano volare sulle onde, allorquando si pesca il pesce spada.

Osservando il levar del sole, l’occhio, inevitabilmente si posa sul declino occidentale del massiccio del Reventino che rappresenta il prolungamento della Sila Piccola e si affaccia sulla parte più stretta della penisola (istmo di Marcellinara), largo appena trenta chilometri tra i mari Jonio e Tirreno.

Tra le due parti più collinari del Monte Reventino, il S.Elia e il Muzzari, in una valletta situata al centro di essi, nel territorio del comune di San Biase, sgorgano le acque termali di Caronte, identificate come Aquae Angae degli itinerari romani del II sec. d.C., anche dette nell’XI secolo acque calde del Nocato o Nicastro.

Vista dal mare piazza D’Armi, allorquando il Tempio di Persefone rappresentava la maestosità della divinità pagana, sembrava posto là, a custodia del monte Ipponio, come se ci volesse raccontare la leggenda della figlia di Demetra.

Noi affascinati dall’intenzione delle pietre rimaste, ascoltiamo con grande devozione e interesse ciò che accadde o che non è mai accaduto a Persefone.

Figlia di Zeus re degli Dei, Dio del cielo e del tuono e di Demetra dea del grano e dell’agricoltura, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, incarnatasi in età giovanile nella figlia Persefone, mentre stava giocando con alcune ninfe sulle sponde del lago di Pergusa, nelle vicinanze di Enna, venne rapita da Ade, Dio dell'oltretomba, che la portò negli inferi per sposarla ancora fanciulla contro la sua volontà, divenendo così Dea del mondo sotterraneo, della gente senza corpo, del mondo immateriale.

Una volta negli inferi le venne offerta della frutta, ed ella mangiò senza appetito sei semi di melograno.

Persefone ignorava però l’ inganno di cui Ade l’aveva fatta oggetto e che consisteva nel fatto che, chi mangiava i frutti degli inferi era costretto a rimanervi per sempre.

Da quel momento si chiusero per Persefone le porte dell’Averno, impedendole di ritornare sulla terra, regnando così per l’eternità assieme a suo marito, sul trono del mondo delle ombre.

Per Persefone non sarebbe stato difficile ritornare sulla terra, era sufficiente seguire a ritroso il decorso del fiume Stigi e il gioco era fatto ma avrebbe dovuto fare i conti con una Bestia Immonda che Ade aveva messo a guardia per impedire a chiunque di entrare ed uscire dagli inferi.

Si trattava di un cane mostruoso, con tre teste e il cui corpo era ricoperto anziché di peli, da serpenti pronti a mordere.

La povera Demetra vagò per nove giorni e nove notti alla ricerca della figlia, non riuscendo però ad averne notizia.

Si fermò solo pochissimo tempo per riposare sedendosi su una pietra, l’agelasta cioè della tristezza per come era lo stato d’animo di Demetra.

Alla fine Demetra chiese notizie di Persefone a Elio, il Dio del sole, che al mattino si svegliava da Oceano a oriente, percorreva tutto il cielo e andava a dormire a Oceano in occidente, e nel tragitto niente gli sfuggiva di quello che stava succedendo.

Conosciuta la Verità, l’ira della madre si scatenò in tutta la sua violenza, impedendo che sulla terra ci fosse il ciclo delle stagioni e facendo si che l’inverno regnasse per sempre.

A poco a poco la terra incominciò a morire, niente più grano, ne frutta, ne fiori, ne legumi, niente, proprio niente, solo grandi carestie e tempeste.

La morte, al capezzale della terra malata stava per portarsela via, quando l’intervento di Zeus, che non poteva acconsentire quanto si stava verificando, ordinò al suo messaggero Hermes di andare negli inferi e riportare indietro Persefone.

Con l'intervento di Zeus si giunse ad un accordo, per cui, visto che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell'oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno.

Così Persefone avrebbe trascorso sei mesi con il marito negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra.

Il ritorno di Persefone suggellò sulla terra grande felicità in sua madre, la vita riprese a fiorire e le messi a germogliare in primavera ed estate.

Così e per sempre, ogni anno si attendeva il ritorno di Persefone affinchè ad Eleusi si dessero inizio ai festeggiamenti in suo onore e di Demetra che portavano la bella stagione.

I misteri eleusini erano riti religiosi che si spiravano al mistero della fertilità, della nascita e della morte, e non solo in relazione all'agricoltura, ma anche come speranza di una vita ultraterrena migliore.

I riti eleusini si svolgevano in due momenti, primavera ed autunno.

Il primo, la purificazione, una sorta di momento preparatorio che aveva luogo in primavera (piccoli misteri), e il secondo, il momento consacratorio, cui erano legate le feste (grandi misteri) autunnali.

Tale culto inoltre mantenne il carattere di mistero, in quanto era riservato ai soli iniziati, i quali potevano accedere al luogo sacro.

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