TERREMOTO
Il ricordo è ancora amico,
un secolo è la memoria,
pè i morti suoi Pater e Gloria.
Nel cuore della notte
ladrone, brigante,
vigliacco rabbioso, di morte
spazzino arrogante.
Di Calabria, la terra
Nel setaccio è cernuta,
pargoli, vecchi, case,
d’un colpo come na bevuta.
Dalle visceri arrivò
del leone il ruggito
spavento, terrore,
non v’è scampo pel vagito.
Malefico animale, bestia potente
degli inferi mostrasti il fuoco.
Sonno profondo dormiva la gente
Giunse la morte di li a poco.
Trema il letto, trema la casa,
le strade, le chiese, pure il mare,
nessun loco è nido sicuro
inno al Santo, a ginocchioni pregare.
Con pala e piccone, con le mani scavate,
c’è né vivi nelle case e nelle strade.
Occhi gonfi senza pianto
feriti e morti dopo lo schianto.
Zammarò, Stefanaconi, Piscopio,
la vita, i pagliai, tutto distrutto
parte la gente, di pane è desio,
di st’evento terribile, nulla è più brutto.
Monteleone, Zungri, Tropea,
paesi rasi, dolore, fame, mesta è la gente.
Narcolettica corona del disastro correa,
dovuta visita e poi niente di niente.
Il cinque, l’otto, data antica, sorte severa,
venite, leggete, le foto guardate.
L’ora che fu, è vera
crudele e malvagio, è rimasto com’era!
lunedì 2 febbraio 2009
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